Ad una riflessione sia pure succinta su di un tema semplice nel comune esperire e nell’immediato consapere, ma oltremodo complesso negli ambiti dottrinali di riferimento, non è dato svincolarsi dall’imperativo metodologico dell’assunzione di un oggetto.
Il nostro oggetto è psichico, ma non è classificabile né fra le pulsioni istintive né fra gli atti di volizione. Una sensazione, una percezione, una rappresentazione, un pensiero sono definibili con generale consenso, laddove il concetto di sentimento pare addirittura sfuggire all’analisi terminologica, rinviando a tutte le formazioni psichiche non chiaramente delineate, quasi “confuse”, cui invero - per dirla con Jaspers - “non si sa dare un altro nome” se non “fatto multiforme” dello psichico “non appartenente alla coscienza obiettivabile”(6). È universalmente ammesso che i sentimenti rappresentino il nucleo della sfera affettiva o timopsiche, posta tra la sfera istintivo-volitiva e quella intellettiva o sofropsiche, e che essi si possano ordinare secondo dimensioni o qualità designate dalla cop... continua a leggere
tag: beatitudine, colpa, felicità, Max Scheler, nichilismo, postmodernità, psiche quadripartita
torna su
Il presente contributo si propone di indagare e mettere in luce una particolare declinazione dell’idea felicità che, per la sua novità e l’influenza che ha esercitato, meriterebbe un ruolo di primo piano in un’ipotetica storia di questa idea. Mi riferisco all’idea di felicità che emerge nel cosiddetto romanzo di formazione (Bildungsroman). Come si evince infatti dalle ultime parole che pronuncia il protagonista dell’opera considerata il capostipite del genere, i Wilhelm Meisters Lehrjahre (Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, 1795-1796) di Goethe: «Io non conosco il valore di un regno; ma so che ho raggiunto una felicità che non merito, e che per nulla al mondo vorrei cambiare», il romanzo di formazione è incentrato sulla ricerca della felicità. Ciò in realtà può essere detto di molti racconti, se non di tutti. Tuttavia, come cercheremo di mostrare seguendo il fondamentale studio di Franco Moretti, la «retorica della felicità» propria del Bildungsroman non costituisce un semplice stilema letterario motivato dalla ricerca... continua a leggere
tag: Anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister, Bildungsroman, felicità, Franco Moretti, narrativa
torna su
1. Secondo l’etimologia corrente, la parola felice continua il latino felix / felīce(m), corradicale di fecŭndus ‘fecondo, fertile’, e significa in origine ‘che produce frutti, fertile’, da cui poi ‘felice, propizio’. Mi pare che, come sempre, il significato ‘fertile, fecondo’ sia un adattamento neolitico (decimo millennio a.C.) di tipo agro-pastorale, legato a un’idea – ancora molto attuale – di benessere come qualcosa originato dalla produttività, ma che per cogliere il senso profondo della nostra parola – o meglio il suo iconimo – sia necessario indagare quale esso potesse essere stato nei milioni di anni che precedono questa evoluzione semantica, vale a dire nelle comunità nomadi e pre-stanziali del Paleolitico.
2. Non mi pare in questa prospettiva complicato individuare l’area semantica che questa parola porta incastonata dentro di sé in quella rappresentata dalla radice *fē-, la cui forma indoeuropea originaria viene abitualmente ricostruita come *dhē-. Si tratta cioè di un termine connesso alla parola – una di quelle appartenenti ... continua a leggere
tag: etnofilologia, felicità, iconomastica
torna su
I guardiani della Repubblica di Platone vengono descritti come individui giusti e felici, che esercitando la propria funzione – governare – nella città e, avendo un’anima ordinata, avranno una buona vita. In alcuni passaggi del dialogo, però, Platone mostra incertezza sulla piena felicità dei governanti, anche se conclude l'intera opera dicendo che la descrizione dei dieci libri riguardava le persone giuste e felici al contempo (Repubblica, 621d).
Martha C. Nussbaum, Bernard Williams, Hannah Arendt, solo per citare alcuni dei più importanti filosofi contemporanei che hanno rivalutato il pensiero degli Antichi come modello regolativo per la riflessione sulle questioni moderne, si sono confrontati con il pensiero di Platone, spesso criticandolo, in altri casi valorizzandolo e il presente lavoro si propone di riprendere e approfondire alcune delle riflessioni su Gorgia e Repubblica proposte da Williams. In particolare, su come sia possibile concepire di armonizzare l'orizzonte eudemonistico con il benessere delle persone che vorrebbero agire per il bene... continua a leggere
tag: eudemonistico, felicità, giustizia, governanti
torna su
Dando avvio all’orazione inaugurale del corso dedicato agli scrittori latini di cose agresti, tenuto presso l’Università di Bologna nell’anno 1494 (gli autori letti e spiegati furono il Virgilio delle Georgiche per la poesia e il De agri cultura di Columella per la prosa), Filippo Beroaldo Seniore così si rivolgeva al suo dotto uditorio bolognese: «Magna res est, viri ornatissimi, et omnibus horis, omnium votis expetita felicitas: huc tendunt cunctorum vota mortalium. Haec est summa curarum, haec est summa rerum expetendarum. Felicitate terminantur nostra desideria. Cui felicitas adest, huic nihili prorsus deest. Inveniuntur qui regna non optent, qui vero felicitatem repudiet nullus existit. Nemo enim non felix esse vult, nemo non felicitatem summum bonorum esse consentit. Quocirca de felicitate humana, tamquam de re rerum omnium maxime expetibili maximeque expetenda, hodierno die dissertare constitui, et in hac dissertatione ex latissimo pratorum virore flosculos non paucos hinc inde decerpere, quorum odoratu olfactantes recreentur»
Ovvero:... continua a leggere
tag: De felicitate, felicità, Filippo Beroaldo Seniore, Rinascimento, Umanesimo bolognese
torna su
Si arriva a un momento della vita in cui ci si sente totalmente disillusə rispetto al concetto di felicità. Oltre a non saperla bene definire, non saperle dare forma, ci si convince che sia un costrutto del tutto astratto, raccontato ai bambini insieme al bene, l'amore e la bellezza come motori dell'esistenza a sé stanti.
Nell'infanzia genericamente esiste la felicità, nella misura in cui non ci si mette in dubbio quando si dice sono felice, mamma. Forse solo perché c'è il sole, perché si vede un cane buffo passeggiare per strada, perché si è ricevuto un regalo di qualsiasi tipo. Ed è genuino.
Crescendo è sempre più difficile fare questa affermazione. Felice diventa una parola da dosare. Richiama una sensazione che, mano a mano che si palesa la complessità delle cose intime e del mondo, sembra non poter esistere individualmente e semplicemente come lo faceva prima. Forse inizia a sembrare incompleta perché non esiste da sola.
Studiando Fisica, l’idea di fenomeni duplici o in qualche modo polivalenti mi ha aperto alla possibilità di tracciare linee di pensiero tr... continua a leggere
tag: contrari, elettrone, felicità, fisica, panta rei
torna su
«I was looking for a quiet place to die. Someone recommended Brooklyn, and so the next morning I traveled down there from Westchester to scope out the terrain.»
Ammettiamolo, non sembra esattamente l’incipit di un romanzo sulla felicità, o sulla ricerca della felicità. Eppure è proprio questo il tema che si snoda sotterraneo sotto gli eventi dell’intera vicenda e che si fa palese, citato esplicitamente, proprio nell’ultima frase di The Brooklyn Follies.
Il narratore di questa storia, che pur essendo de facto protagonista della vicenda afferma di non esserne l’eroe – è un ruolo, questo, che lascia al nipote – è Nathan, un uomo americano che decide di trasferirsi in uno dei luoghi simbolo degli Stati Uniti del ventunesimo secolo per attuare il proprio personale anti-sogno americano: non realizzarsi, non far valere il proprio inalienabile diritto alla ricerca della felicità, ma morire in pace.
Nathan però non ha ancora sessant’anni, il suo cancro è in remissione e non sa quanto gli rimanga ancora da vivere: capisce presto che ha bisogno ... continua a leggere
tag: caso, felicità, Paul Auster, The Brooklyn Follies
torna su